La scuola com’è nella realtà

Idee e riflessioni
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C’è un’altra scuola media, oltre a quella di cui ho già parlato.
Le classi sono formate da 29 alunni e ogni professore se li trova davanti tutti insieme.
Le aule sono state pensate per un massimo di 24 alunni, per cui gli spazi fra i banchi sono molto esigui e, necessariamente, gli zaini rendono difficile il passaggio e costringono chi deve raggiungere il banco o la cattedra ad esercitarsi nel salto degli ostacoli, a tutto discapito della sicurezza.
Le pareti sono scrostate, sporche e scarabocchiate, e il colore bianco, verde/ foglia appassita, bordato del marrone di finti battiscopa non viene rinnovato da vent’anni. Ci sono solo due aule nella scuola che sono tinte di fresco (e intendo con “fresco” un tempo di otto anni), perché c’è stato un anno in cui alcuni genitori hanno deciso di dipingere le aule da soli. Poi non si è più potuto fare perché nella scuola hanno saputo che se fosse accaduto qualcosa ai genitori l’assicurazione non avrebbe pagato neanche un centesimo.
Le carte geografiche, quando ci sono, sono antiquate (ce ne sono alcune che hanno ancora l’Istria italiana, perché sono di una carta telata che dura molto e vengono passate di scuola in scuola chissà da quanto tempo) e pendono scompostamente dalle pareti, ma servono a coprire un po’ le macchie e le crepe. Ovviamente non sono quasi mai quelle che servono. No, la lavagna interattiva multimediale, che permetterebbe di mostrare agli alunni tutte le cartine, tutte le fotografie e tutte le notizie utili, non c’è  ancora in ogni aula. Ma da anni dall’alto la scuola garantisce che ci saranno.
Le porte, vuote all’interno, conservano il ricordo di pugni o calci di chissà quanti anni prima. E così accade per certe pareti di cartongesso, sfondate in più punti. Nel giorno dedicato alla open school gli insegnanti e i bidelli si affannano a coprire buchi, crepe e macchie con manifestini e cartelloni che, anche se sono strappati, sono sempre meglio dei buchi. Perché, in quella scuola, invece di far vedere ai genitori la realtà, il dirigente ordina che la realtà venga nascosta.
I banchi non sono tutti uguali, perché convivono i superstiti di varie mandate di banchi: uno bianco con le gambe rosse, uno verde con la retina porta libri verde, uno beige con un ripiano color legno, uno che dovrebbe avere la retina, ma non ce l’ha, uno doppio, uno singolo, uno alto, uno basso, uno leggermente inclinato. Contrariamente a quello che può sembrare, però, le forme e colori diversi non danno un senso di allegria, ma un senso di scomposto degrado. Quasi tutti i banchi hanno buchi, sono incisi o scarabocchiati con nomi e cognomi, con incitamenti a squadre di calcio o insulti e parolacce rivolti un po’ a tutti. Ci sono delle sedie piene di scritte con il bianchetto. Il bianchetto risulta essere come il maiale: non se ne butta via niente. Si usa dappertutto: sui diari, sugli astucci, sugli zaini, sulle penne, sulle gomme, sulle copertine dei libri e dei raccoglitori. Perfino sulle unghie. Ma anche sui banchi, sulle sedie e sulle pareti. E dove lo mettono rimane, perché per toglierlo ci vogliono tempo e bidelli, e mancano sia l’uno che gli altri.
Entrando in una classe di quella scuola si viene colpiti dal fatto che i banchi sembrano costruiti apposta per essere inadeguati: così, il ragazzo alto in fondo ha un banco basso, una ragazza, laggiù, ha una sedia altissima che la costringe a stare gobba; una piccolina sta ore seduta in un banco alto che le arriva a metà sterno; e anche ad un’altra il banco arriva a metà sterno, ma perché le è toccata una sedia bassissima. Dal di fuori può sembrare che sia solo una questione di scambio dei banchi e delle sedie, ma in realtà, quando provano a fare dei cambiamenti, non trovano quasi mai l’abbinamento giusto. In generale, inoltre, è di gran disturbo il fatto che molti banchi e sedie producano rumori e scricchiolii ad ogni movimento, perché le gambe di metallo traballano.
Le sedie della cattedra sono scomodissime, e non è consigliabile mettere le gonne, perché sono piene di chiodini sporgenti o parti scheggiate che sfilerebbero le calze.
I grandi finestroni lasciano passare il gelo dell’inverno, perché sono piene di spifferi. A primavera inoltrata, ragazzi e insegnanti cominciano a morire di caldo e sono accecati dalla luce perché non c’è uno straccio di tenda. Allora capita che gli insegnanti siano costretti ad abbassare completamente gli avvolgibili (se ci sono e se non sono rotti), e a fare lezione alla luce dei neon. Quando un neon comincia a lampeggiare è segno che deve essere cambiato, ma nessuno arriva a cambiarlo per settimane e le lezioni devono essere svolte o al semibuio, se si decide di spegnere il neon difettoso, o alla luce intermittente, che si evita perché può diventare psichedelica. Lo stesso accade se si rompe un avvolgibile.
Il riscaldamento varia molto da ambiente ad ambiente: i termosifoni non sono regolabili e quindi rimangono alla stessa temperatura indipendentemente da quella esterna e dagli spifferi delle finestre. In un’aula sembra di essere alle tre di un giorno d’agosto in mezzo agli scavi di Pompei; in un’altra sembra di essere alle sette del mattino in mezzo alla tundra artica. E, passando da un’aula all’altra, il corpo cambia brutalmente di temperatura, e questo causa malanni a non finire. E si può pensare che gli insegnanti stiano a casa: no, vanno a scuola mezzi febbricitanti e senza voce, rendendosi patetici agli occhi degli alunni, perché sanno che, se non è proprio indispensabile, devono andarci perché non c’è nessuno che li sostituisca. La tundra artica, d’inverno, al lunedì mattina c’è sempre, perché, per risparmiare, il riscaldamento viene chiuso durante tutto il week end.
Se i ragazzi guardano fuori dalla finestra vedono, a seconda della parte in cui si trovano: una carrozzeria/officina meccanica (non sarebbe neanche male, se non fosse per gli scarichi dei tubi di scappamento quando lasciano accesi i motori o danno accelerate parossistiche per provarli; una strada trafficata, un terrapieno; il piazzale nel retro di un supermercato.
I computer nelle classi sono una presenza davvero occasionale, perché se ne parla tantissimo, ma i soldi non ci sono.
In parecchie aule c’è ancora la lavagna nera, che non è neanche nera nera, perché probabilmente è un modello poco costoso, grigio scuro. Quando si scrive, quindi, si vede poco. Il cancellino è una semplice spugna da bagno, oltretutto piena di buchi, che viene pulita, credo, ogni settimana. Ed è per questo che quando si cancella, la scritta non viene cancellata, ma coperta da nuvole di gesso ad ogni colpo di spugna.
Ci sono due bagni maleodoranti per circa ottanta ragazzi e due bagni per altrettante ragazze. Questo costringe gli insegnanti a permettere continue uscite durante le lezioni. Ovviamente, non c’è carta igienica e i ragazzi devono accontentarsi del fazzolettino di carta che si portano da casa. Le porte, ogni tanto divelte per gioco, hanno dei buchi che permettono la vista verso l’interno e che quindi vengono “riparate” riempiendole di carta. I gabinetti alla turca vengono intasati, sempre per gioco, dagli oggetti più vari. D’altra parte, queste bravate stanno aumentando, perché nessuno può controllare i ragazzi che vanno in bagno durante le lezioni: i professori sono in classe e i bidelli stanno facendo i lavori che sono stati loro affidati. Certo non si può impedire di andare in bagno a un alunno che dichiara che “è urgente”; né si possono mettere le telecamere nei bagni.
I pochi laboratori sono spesso fuori uso perché non ci sono i soldi per riparare quello che si rompe.
Ma le cose che scarseggiano, oltre alla carta igienica, sono moltissime: carta per fotocopie, inchiostro per stampanti, tecnici e operai per la manutenzione di tutto ciò che viene usato, per dirne alcune. Gli insegnanti, in quella scuola, si portano tutto il materiale da casa: fogli, penne, quaderni, matite, colori, pennarelli, libri. A loro spese, naturalmente.
Durante l’intervallo orde di ragazzi frustrati da ore di permanenza in aule scomode e in un ambiente inadeguato, liberano la loro voglia di correre, saltando e inseguendosi l’un l’altro. C’è un insegnante per ogni classe, durante l’intervallo, che passeggia nel corridoio per la sorveglianza: e mentre dice a due di non correre, altri tre giocano a calcio, due si picchiano, uno inciampa, due ragazze litigano, uno strappa le foglie del ficus beniamino finto e uno quelle dell’edera vera. Ogni tanto un insegnante viene fatto cadere. Involontariamente, è ovvio, per assoluta mancanza di freni inibitori, ma intanto poi, quell’insegnante porta dolori alla gamba o al braccio o alla spalla per settimane e mesi.
Nei bagni dei ragazzi evitano di entrare le insegnanti e in quello delle femmine gli insegnanti. Ne consegue che quello che fanno là dentro è difficile da evitare. D’altra parte, oggi come oggi, c’è il rischio, per gli insegnanti, di essere accusati di andare nei bagni per curiosare come guardoni. Chi lo farebbe?
I ragazzi nelle classi hanno molti problemi: chi è molto timido, chi è iperattivo, chi è affetto da deficit dell’attenzione, chi è quasi abbandonato dalla famiglia, chi è straniero e non conosce la lingua, chi è portatore di handicap, fisico o mentale, non sempre certificato. Ma non ci sono terapisti, né psicologi, né psichiatri, né mediatori culturali, né insegnanti che potrebbero dare un supporto individualizzato. A parte, sempre meno, qualche ora di insegnanti di sostegno. Cosicché, se uno o più di questi soggetti problematici decidono di alzarsi, urlare, lanciare sedie, parlare forte, picchiarsi, intervenire a sproposito, cantare, ballare, lanciare oggetti, intervenire continuamente, mandare a quel paese compagni e insegnanti, l’insegnante, anche il più esperto e il più preparato, dopo averle provate tutte, ma proprio tutte, non può fare altro che uscire dai gangheri e mettersi ad urlare, minacciare sanzioni perfettamente inutili e scrivere note sul registro di classe e sui diari. Non può chiamare un collega e, per esempio, uscire un momento con il ragazzo scatenato per farlo ragionare, o parlargli; non può dedicare la sua attenzione a chi ha bisogno di aiuto, perché, nel frattempo, perderebbe il controllo degli altri. È come se gli dessero da tenere venti patate bollenti con due mani: qualcuna cade per forza.
I professori, in quella scuola, non sono pieni di energie (le esauriscono presto), non sono pieni di entusiasmo (la frustrazione fa calare drasticamente l’entusiasmo), non sono neppure rilassati (diciamo pure che lavorare in quelle condizioni stresserebbe chiunque). Soprattutto non sono sorridenti, perché quello che vorrebbero dare ai ragazzi è ben altro. Vorrebbero aiutare tutti, ma l’impossibilità di farlo, l’essere costretti, per fare lezione, a punire proprio gli alunni più disagiati è per loro una sconfitta che toglie la serenità.
Per trovare questa scuola media, dovete cercarla in Italia. E’ la scuola pubblica italiana, quella che ci passa il convento. Quella che i genitori non vorrebbero, ma invece di prendersela con il convento e pretendere maggiori risorse, se la prendono con i professori.
I genitori inferociti protestano. Mio figlio è caduto perché uno gli ha fatto lo sgambetto: dov’erano i professori? Un compagno di mia figlia fumava in bagno: dov’erano i professori? Un ragazzo di un’altra classe ha spaventato mio figlio nei bagni: dov’erano i professori? Mia figlia ha freddo: perché non alzate il riscaldamento? Nella classe c’è una grossa crepa: perché non la fate riparare? Mio figlio ha un deficit dell’attenzione: perché non lo seguite di più e non avete più sensibilità e comprensione? Mia figlia ha caldo: perché non comperate delle tende? Mio figlio ha portato un coltello a scuola: perché l’insegnante, invece di rimproverarlo, non gli insegna l’educazione? Mio figlio non capisce la lezione: perché il professore con gliela spiega meglio? Mio figlio non ha fatto i compiti, perché non li aveva segnati sul diario: perché l’insegnante non glieli segna lei, invece di fargli una nota?

P.S. Non sono tutte così, le scuole. Ma questa c’è. E non è l’unica. E ce ne sono anche di peggiori. E finché in Italia ci saranno scuole così, vorrei che non ci venissero a parlare di riforme scolastiche, di digitalizzazione, di “scuola d’estate”, di classifiche varie sulla Scuola o di critiche alla preparazione dei ragazzi.

 

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