Anche così si diventa buoni genitori.

Idee e riflessioni
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Oggi vi propongo questo piccolo compito, se vi fa piacere svolgerlo. Prendetevi un po’ di tempo, in un momento tranquillo, per pensarci. Bastano anche poche righe. Rispondete sul sito, nei commenti, per favore.

Pensate al bambino che siete stato. O alla bambina che siete stata.

L’avete davanti, nella stessa stanza. A quanti anni? Scegliete voi.

Adesso che siete adulti, se poteste pensare voi alla sua educazione, che cosa fareste, che cosa non fareste o che cosa direste?

Tutti i genitori sbagliano. Qualcosa avranno sbagliato di sicuro anche i nostri. Cerchiamo i loro errori. Non per accusarli, ma per perdonarli. Anche così si diventa buoni genitori.

Comincio io.

La bambina della foto vintage che ho messo in copertina sono io a sette anni.

Sono sempre stata una bambina molto vivace, piena di entusiasmo. Ho sempre avuto una grande attenzione verso le ingiustizie: che venissero fatte a me o ad altri, reagivo e cercavo di rimettere le cose a posto. Ero una bambina vivace, ma molto sensibile ed empatica, insomma. E aggiungo quel “ma” perché capita spesso che si dimentichi che anche i bambini vivaci possono essere molto sensibili. Sono rimasta così.

Sono stata educata da una madre molto severa e poco espansiva (come erano quasi sempre le mamme educate prima della guerra). Madri dalle poche smancerie.

Allora ecco come mi comporterei io con la bambina di sette anni che sono stata: la prenderei in braccio e la terrei stretta a me, senza parlare. Le canterei delle canzoni, sussurrandogliele all’orecchio mentre la tengo in braccio, perché – anche se ormai ha sette anni – sono sicura che le piacerebbe. L’accarezzerei e le chiederei a che cosa ha giocato di bello, che cosa le piacerebbe fare da grande. Sognerei insieme a lei quel cavallo dal mantello dorato con la criniera e la coda più chiare che le piace tantissimo. Non la rimprovererei mai per cose delle quali non ha colpa: per aver preso la tosse, per esempio, perché anche se corre e suda non può mettersi a pensare che potrebbe raffreddarsi; perché mangia poco, perché proprio non le va giù niente in certi giorni. Non chiederei “Come mai?” quando la maestra non le dà il voto più bello, perché non può essere sempre la più brava. E quando prende un bel voto condividerei la sua soddisfazione, senza sottolineare il fatto che ha fatto il suo dovere. Quando si comporta male, non la picchierei per correggerla. E se nonostante tutto il mio impegno mi scappasse uno sculaccione, le direi “Vedi? Mi sono fatta trasportare dalla rabbia e ti ho dato uno sculaccione. Io cercherò di non perdere mai il controllo e tu cerca di non farmi arrabbiare tanto da farmi perdere il controllo. Ti voglio bene”. Ecco, le direi “Ti voglio bene” molto molto più spesso, è una bambina, e come tutti i bambini, i ragazzi e gli adulti sentirsi dire “Ti voglio bene” è molto piacevole e rassicurante.

Ecco, ho terminato il mio compito.

Credo che possa essere utile anche a voi farlo, come figli e – se lo siete- come genitori.

Che i genitori sbaglino è normale. Sbagliamo tutti.
Capire gli errori educativi dei propri genitori e saperli perdonare è determinante per essere buoni genitori, e anche buoni insegnanti.

Adesso tocca a voi, se vi fa piacere farlo.

Nota: Se siete insegnanti delle superiori, valutate la possibilità di girare questa idea ai vostri alunni. E se lo fate, esponetevi anche voi, come ho fatto io: date l’esempio.
Esporre se stessi, come ho fatto io qui e a scuola, è un regalo. Solo se si regala per primi si può sperare che qualcuno ricambi. E solo con l’esempio si insegna davvero.

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Comments (4)

  • Ciao Isabella sei una grande donna. inizio a leggere la parte relativa alle insegnanti. ma poi salto qui e leggo i racconti delle donne che rammentano quando erano bimbe. mi sono commossa. ho fatto la stessa cosa con la testa. ero una bimba molto vivace ma non ho nulla che mi rattristi. piuttosto magari ho fatto degli errori coi miei figli. Ma ne parlerò più avanti. vorrei avere tanto tempo per stare tutto il giorno a leggere quello che scrivi. grazie infinite. Maria

  • Negli anni della mia crescita dal gioco dei ruoli non si sfuggiva.
    Classe 1967, permalosissima, introversa, testarda, studiosa fino allo spasimo ma di quello che volevo io.
    Da mia mamma avrei voluto più dolcezza e incoraggiamento.
    Da mio padre il contatto fisico che avrebbe voluto anche lui e che è mancato ad entrambi.
    Ho fatto più che perdonarli, io con mia figlia farò di peggio…

  • 25 dicembre 1976, ho otto anni.
    Mio babbo muore di cancro ai polmoni.
    Tutta la grande famiglia (10 zii, 14 cugini legati con il mastice e affini) è sconvolta, mio babbo era il pilastro su cui tutti si appoggiavano.
    Io non comprendo bene la questione. Per me, mio babbo era morto quando non mi riconosceva più, quando non mi prendeva più in braccio, quando aveva smesso di ascoltarmi, di insegnarmi e di giocare con me.
    In quel preciso istante, alle 14,30 del 25/12/76 ho sentito uno strappo nella pancia: sento aprirsi un enorme, infinito, pauroso buco nero qui, poco sopra la bocca dello stomaco.La paura per questa sensazione mi rende isterica: rido, piango, qualcuno mi prende a schiaffi. Resto seria. Mi vergogno molto, per aver riso.
    Mi viene da piangere ma vengo aspramente rimproverata dalle zie, non devo piangere, altrimenti la mamma sta male due volte.
    Il buco nero resta lì, a fare danni.
    Mia madre, annichilita dal dolore, mi proibisce di ridere, di essere allegra, non ne ho il diritto, perché il babbo è morto e non si può essere lieti, in nessun modo.
    Per un decennio mi viene tassativamente proibito festeggiare il natale, perché quel giorno è morto il babbo.Unico divertimento, la lettura e la settimana emigmistica.
    Il buco cresce, a dispetto dell’atmosfera molto più distesa che mano a mano pervade la grande famiglia.
    A 14 anni i primi lavorini che mi permettono qualche acquisto.Le magistrali, poi scienze politiche.
    Il tempo passa, il buco nero mi inghiotte, mi colonizza. Ci sto bene, nel mio buco, ma mi sto spegnendo.Ci metto una vita, a laurearmi, perché lavoro, ma crollo. Mi salvo per caso, perché qualcuno mi ha aiutato, perché mio babbo non era sparito, era sempre vicino a me, solo in un altro modo, perché ho voluto vivere, perché ho avuto forza di volontà.
    Per tutte queste ragioni o solo per alcune di esse, dipende dall’umore che ho, quando ci penso. Ho avuto molta fortuna.
    Ho compreso mia mamma, ho capito. Altri tempi, altra generazione, una famiglia di contadini con la fissa di far studiare i figli, con la miseria ancora ben attaccata alle dita.
    Poco spazio per le emozioni, bisogna andare avanti, portare rispetto ai morti, e andare avanti.
    Però, vorrei che avessero permesso a quella bambina di piangere tutte le sue lacrime.
    Vorrei che mi avessero portato prima, da un bravo terapeuta, che invece trovai per caso alla soglia dei 20 anni.
    Questo solo, vorrei.
    Scusa la lunghezza.

  • Complimenti per lo scritto..tanto vero quanto disastrante per chi non preserva tale contenimento per i propri figli. L’amore insegna, il resto potrebbe essere esempio nocivo.

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