Se fossi una psicologa o una psichiatra che non ha mai messo i piedi in una scuola non avrei dubbi: assolutamente non servono! fanno sentire il bambino inadeguato! ledono l’autostima! ecc. Ma siccome sono un’insegnante, guardo la teoria, ma anche (molto) la pratica.
L’argomento sembra semplice, ma in realtà è molto complesso, e quindi, prima di tutto, cerco di fare un po’ d’ordine e di chiarire alcuni aspetti essenziali del problema, che per gli insegnanti nasce dalla difficoltà di gestire la classe e i problemi di comportamento.
Partiamo dal concetto stesso di “punizione”, tenendo presente che questo non è non è un trattato, né un testo specialistico. E preciso che qui parlo soltanto delle punizioni a scuola.
Intendo con “punizione” il provvedimento che noi insegnanti prendiamo quando uno o più alunni “si comportano male”. La punizione (un brutto voto, una nota disciplinare, un richiamo verbale, del compito supplementare) è la conseguenza di un’azione sbagliata, o del non rispetto delle regole.
Nella società la punizione esiste. Sostanzialmente sotto forma di multe o di carcere. Direi quindi che l’idea di “punizione” può essere presa utilmente in considerazione come simulazione di quello che accade (o dovrebbe accadere) in società quando si va contro la legge.
Tutti noi insegnanti sappiamo che gestire una classe difficile (nelle classi “facili”, se esistono, non si pone il problema) è molto più che difficile. E se non abbiamo nessuna possibilità di applicare anche delle sanzioni, e soprattutto se i genitori gridano allo scandalo e protestano, arrivando a picchiare gli insegnanti quando si permettono di dare una nota o una punizione, è un’impresa quasi disperata.
Detto questo, credo che una punizione significativa, che abbia un senso e un’utilità, possa essere data a certe condizioni:
- Deve servire a recuperare, e non semplicemente a punire. In altre parole, deve servire a far riflettere, in modo tale che ci siano buone speranze che l’errore non venga più ripetuto.
- Il bambino deve essere abbastanza grande da capire chiaramente il concetto di “punizione” e da saper distinguere “la punizione di un comportamento”, dal rifiuto dell’alunno come persona.
- Deve essere chiaro che la punizione data a scuola simula il meccanismo che esisterà poi nella società e che si può sintetizzare nella frase “chi sbaglia paga”, quando il bambino è piccolo, e in “la Legge punisce i comportamenti che vanno contro le regole di convivenza della società”, quando si tratta di ragazzi.
- La punizione deve essere resa comprensibile e accettabile con una “educazione al comportamento corretto e alla punizione” di tipo permanente. Deve, cioè, essere continuamente ripresa e ribadita.
Ogni punizione deve essere stata spiegata, e possibilmente decisa dagli alunni. Preciso: non nel senso che l’alunno decide di volta in volta la punizione, perché gli adulti, gli insegnanti, siete voi. E siete voi, quindi, nel vostro ruolo di insegnanti, quelli che decidono. Ma nel senso che ci deve essere una “Lezione” (con la elle maiuscola e le virgolette) durante la quale voi guidate gli alunni a capire che chi non studia, o chi non ascolta la lezione, o chi disturba durante il lavoro in classe rimane indietro e fa rimanere tutti indietro; che – come nella società accade che chi provoca un danno al singolo o alla collettività viene punito in base alla gravità della sua azione – in classe è necessario cominciare ad imparare – attraverso le punizioni, il rapporto che esiste fra responsabilità, azione sbagliata e conseguenza.
La “Lezione” sarà utile e completa solo quando riuscirete a convincere gli alunni che questo è giusto, e troverete insieme a loro quali sono i comportamenti (giustamente) sanzionabili, e quali potrebbero essere le (giuste) punizioni. Non crediate che gli alunni siano teneri. Anzi, vi accorgerete che sono molto più severi di noi. Ma se fossero accondiscendenti e tolleranti verso gli amici, fate un’altra “Lezione” per portarli a capire che la Giustizia non può e non deve essere in relazione con l’amicizia o con gli interessi comuni. E qui, con i ragazzi più grandi, si potranno fare altre “Lezioni” su termini come “collusione”, “corruzione”, “conflitto di interessi”, “falsa testimonianza”, “complicità”, ecc. - La punizione deve essere solo un segno di disapprovazione del comportamento. Di “quel” comportamento, e non di tutta la persona del bambino o del ragazzo. Non deve quindi essere qualcosa che fa soffrire, che mortifica, che mette in ridicolo, che appiccica delle etichette negative.
- Nella Storia passata e fino a cinquant’anni fa le punizioni a scuola erano corporali e umilianti.
Io stessa sono stata qualche volte punita perché chiacchieravo: con il cerotto sulla bocca, con uno schiaffo, o con l’obbligo di stare per tutta la lezione in piedi dietro alla lavagna o di scrivere pagine e pagine di “Non devo alzarmi dal banco”. Mi hanno proibito di cantare perché stonavo.
E ho assistito a punizioni date ad altre bambine (ai tempi delle elementari eravamo in classi solo femminili), alle quali le maestre tiravano i capelli o sollevavano la gonna per dare loro delle sculacciate davanti a tutta la classe; gli alunni ricevevano sonori schiaffi, spesso a sorpresa, o uno o più colpi di righello sulle dita della mano, magari perché erano mancini; o si davano bacchettate sulla testa con la canna che si usava per indicare sulla carta geografica; venivano messi nell’angolo, con la faccia rivolta verso il muro; dietro la lavagna con la lingua fuori, o in ginocchio sui ceci, o sbattuti fuori dall’aula, o messi nel “banco dell’asino” o fatti di girare per la scuola con due grosse orecchie d’asino, sottoposto alla derisione di tutti. A volte la punizione consisteva nel far salire le scale in ginocchio. Ed erano all’ordine del giorno anche le offese come “sei un deficiente”, “Cretina!”, “Delinquente!”, o simili.
Ecco: tutto quello che somiglia anche vagamente a questo non deve essere assolutamente fatto, perché -oltre ad essere ingiusto e molto diseducativo – perché ledevano la dignità del bambino, e, di conseguenza, la sua autostima.ci sono bambini ai quali una punizione sbagliata non lascia il segno (come nel mio caso, che ho sempre cantato perché poi altri mi hanno detto che ero intonata, e non ho mai sentito di essere inferiori agli altri), ma ce ne sono altri ai quali può lasciare una ferita che non si rimargina mai più. La violenza non è mai educativa.
Non perdo altro tempo a ribadire l’assurdità (e l’illegalità) di punizioni corporali, che spero che non esistano più, e, dove per caso esistono, invito caldamente chi ne viene a conoscenza a denunciare immediatamente la cosa, perché chi non lo fa è complice.
e qui

L’istruzione a Roma. Sarebbe interessante come “Lezione” approfondire l’argomento delle punizioni in luoghi lontani nel tempo e nello spazio. Ma questo è un altro argomento.
(Immagine è tratta qui )