Giornata contro la violenza sulle donne: io c’ero, quando la donna si è ribellata.

Idee e riflessioni
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Io c’ero quando la donna si è ribellata. Se voi non c’eravate, leggete, prima che sia troppo tardi.

Ero un’adolescente che con altre adolescenti cercava di capire che cosa era giusto e che cosa non lo era. Sono stata fortunata perché né mio padre (1915) né mia madre (1920) pensavano che la donna fosse inferiore all’uomo. Non sono stata educata a pensare che dovevo essere “una signorina”, “una principessa”, una che aveva il dovere di servire il marito che tornava dal lavoro e “si sacrificava per me che stavo casa a far nulla”. Sono cresciuta già consapevole, quindi.

Ricordo domeniche pomeriggio a discutere con le mie amiche o con mia sorella di poco più giovane su quale dovesse essere il ruolo della donna nella società, e scoprivamo tutti i motivi per cui la donna era pari all’uomo. Quando pensavo al mio futuro non mi vedevo massaia: mi vedevo ricercatrice, scienziata.

Le donne di quegli anni, soprattutto le adolescenti, si ribellavano a un ruolo subalterno nelle quali la società le aveva relegate.

Ci ribellavano a tutto quello che ci inchiodava al ruolo di donnina di casa, di ragazza che aspettava il principe azzurro che la mantenesse per fargli da serva, di mogliettina che aspettava il marito facendogli trovare pronto in tavola (motivo per cui principalmente l’aveva sposata). Ci ribellavano all’idea di vestirci e “farci belle” per l’uomo invece che per noi stesse. E per combattere tutto questo finivamo per nascondere la nostra femminilità sia negli atteggiamenti, che nell’abbigliamento, che nel linguaggio. Lo facevamo perché era necessario, non perché improvvisamente le donne erano diventate maschiacci.

La ribellione non fu solo nell’abbigliamento, negli atteggiamenti, nel linguaggio, ma nel dimostrare in tutti i modi (a volte anche in modo eccessivo perché doveva essere provocatorio) che noi sapevamo fare tutto quello che sapevano far gli uomini. E che avevamo non solo la capacità ma anche il diritto di farlo.

In sintesi ecco quello  che volevamo urlare:

non siamo donnine di casa;

non siamo bamboline senza idee;

non siamo le regine della casa, e  nostro marito non è il re;

tutto quello che fa un uomo lo possiamo fare anche noi;

vogliamo studiare, fare carriera, e se decidiamo di stare a casa con i figli è perché lo abbiamo voluto noi;

se ci vestiamo bene, se siamo carine lo facciamo per noi, non per piacere gli uomini o per far fare bella figura al nostro marito;

se ci mettiamo la minigonna non significa che vogliamo essere stuprate;

vogliamo fumare, bere, uscire, vivere la nostra sessualità come fanno gli uomini;

se “non ci stiamo” non siamo frigide;

se “non la diamo” non siamo lesbiche;

“io sono mia” significa che non siamo proprietà di nessuno, e vogliamo decidere per la nostra sessualità, per il nostro rimanere legate a un uomo e per il nostro interrompere la nostra gravidanza, perché la vita è nostra e il nostro corpo è nostro.

E così via.

Credetemi. Ci credevamo davvero che saremmo riuscite a raggiungere il rispetto e la parità nella vita quotidiana e nel mondo del lavoro. Ci credevamo davvero che la donna non sarebbe più tornata come prima. E lo abbiamo fatto anche per voi, donne di oggi che adesso non ci ascoltate e pensate che siamo vecchie.

E invece?

Invece siamo tornate piano piano a perdere praticamente tutto quello che avevamo conquistato. E quel che è peggio, ce lo stiamo togliendo da sole. Noi donne, senza accorgercene neanche.

Io c’ero, e vi dico che dobbiamo ribellarci. Di nuovo, e subito.

 

Continua…

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