“Per cercare di orientarsi nella vita di oggi e rendersi conto del significato degli eventi di cui siamo attori e spettatori, è necessario procedere al confronto della nostra situazione con quelle storicamente realizzatesi nel passato”
È l’incipit del libro “Inizio di una nuova epoca”, pubblicato dal filosofo Ugo Spirito nel 1961, cioè prima del Sessantotto. E io lo lessi quando avevo vent’anni, all’università. Nello stesso libro – se avete occasione di farlo, leggetelo – Ugo Spirito spiega che il grande aumento della velocità causato da invenzioni e scoperte ha creato un abisso fra le generazioni che non ha precedenti:
“Da quando l’uomo è sulla terra, al di là di ogni testimonianza storica e preistorica, egli ha conosciuto soltanto la velocità delle proprie gambe oppure degli animali domestici che lo trasportano o quella della barca a vela. Una velocità di pochi chilometri all’ora, così per lo spostarsi degli individui, come per la trasmissione delle notizie. Per millenni l’uomo ha vissuto nei limiti imposti dal ritmo di questi movimenti. Ma poi improvvisamente, nel giro dell’ultimo secolo, (n.d.a cui dobbiamo aggiungere adesso altri cinquant’anni) la macchina a vapore (1765), il motore a scoppio, l’elettricità, l’aeroplano, la radio, la televisione, il razzo e altre manifestazioni analoghe hanno fatto procedere verso velocità inimmaginabili, e, per le comunicazioni audiovisive, verso la contemporaneità di trasmissione e ricezione in ogni punto della terra in ogni punto, anche extra terrestre, raggiunto dall’uomo. (…) Tutta la vita dell’uomo per millenni, e poi la vita dell’ultimo secolo (…). I problemi di ogni giorno sono improvvisamente sostituiti dal problema dell’intera vita, e il dubbio comincia invadere l’animo del giovane (…). C’è dunque un altro mondo e ci sono altri valori”.
Ecco, quando lessi questo libro capii moltissime cose, e in particolare compresi perché, molto più che nell’antichità e in tutti i secoli precedenti, noi giovani non capivamo i nostri genitori e i nostri insegnanti, e non li vedevamo più come guide da seguire. Anzi, li contestavamo, convinti che la nostra fosse la generazione che avrebbe potuto creare un mondo migliore, più giusto.
Grazie alle nostre contestazioni, molte cose sono cambiate in meglio, ma il mondo non è diventato migliore, purtroppo. Ma non è stata colpa nostra, né del Sessantotto, come molti cercano di sostenere oggi, per cancellare la possibilità che la ribellione si ripresenti. Come ho già avuto modo di dire, le colpe – se si possono chiamare “colpe” i cambiamenti storici – sono di un mondo economico e di un sistema politico che hanno creato e favorito una società altamente ingiusta, impostata sul consumismo, sul guadagno senza scrupoli e, di conseguenza, sull’ignoranza e su una vertiginosa caduta dei Valori.
Mi è capitato di leggere su Facebook che “a chi ha più di 65 anni bisognerebbe togliere il diritto di voto, perché che cosa possono saperne ormai della politica?”. E ho letto anche che molti giovani esprimono la necessità che “gli anziani” (leggi: sessantenni) dovrebbero essere affiancati nel lavoro da giovani, che possono aiutarli e aggiornarli, dando per scontato che siano persone che non hanno più nulla da offrire.
Frasi e convinzioni di questo tipo nascono dal fatto che i giovani si sono convinti (precisamente: sono stati convinti) che ciò che serve è ciò che si compera, oggi, subito, e che l’esperienza di chi per esempio suggerisce di non buttare, di non comperare, o della necessità di una decrescita, ecc., o che afferma l’importanza della Cultura, in realtà, non serve a nulla, perché viene da persone “vecchie”, nostalgiche, attaccate al passato perché non sono in grado di capire il presente tecnologico. La situazione di cui parla Ugo Spirito si è oggi in qualche modo ribaltata: i giovani (e con “giovani” intendo anche quelli che hanno quarant’anni e non solo i ragazzi) dimostrano di non avere alle spalle una sufficiente esperienza di vita per orizzontarsi nella società e nella storia. Avanzano terra terra, senza guardare dove mettono i piedi, incapaci di elevarsi fino a comprendere la linea che lega passato, presente e futuro. Senza sapere che cosa c’era prima, cioè, (sì, lo so, si può studiare la Storia, ma non è come averla vissuta), e senza la possibilità di prevedere quello che ci sarà, perché il mondo cambia a grandissima velocità.
Ai giovani viene fatto credere che il possesso di oggetti tecnologici, e di un computer, o di uno smartphone che permetta loro di accedere a Wikipedia, li rende persone colte che non hanno bisogno di niente altro per capire e decodificare la realtà. Invece io affermo che Wikipedia non li rende né colti né consapevoli. E tutte le app esistenti non li mettono in grado di orientarsi nella vita.
Sono nati e cresciuti in un’età in cui l’abisso fra le generazioni era già enormemente profondo. Sono cresciuti in un mondo in cui tutto è stato messo in dubbio (e quindi in crisi). Crisi di Valori, soprattutto. E senza qualcosa in cui credere procedono senza aver bene in mente qual è la direzione giusta da prendere. Per farlo bisogna sapere da dove si viene e dove si sta andando. E questo lo sappiamo noi, per esperienza di vita. Ed è in questo senso che possiamo aiutarli.
I giovani hanno bisogno di noi in questo momento. Hanno bisogno della mia generazione, che è quella che ha avuto nonni che hanno vissuto la Prima guerra mondiale, genitori e insegnanti che hanno vissuto la Seconda, il fascismo, il dolore, la fame, la fine della guerra, il dopoguerra, il boom economico, il Sessantotto, gli Anni di piombo, tutte le forme di contestazione pacifiche, lo sviluppo del sistema economico che ha portato al consumismo, i primi passi della televisione di Stato, e il moltiplicarsi dei canali con le televisioni commerciali, Carosello e poi le pubblicità invasive, e la nascita di tutto quello che a loro oggi sembra la normalità, compresi i computer, i cellulari e internet. Noi siamo quelli che hanno lottato per la parità uomo/donna, per ottenere la possibilità di parlare, di studiare, di andare all’università anche se non si era benestanti, di non essere trattati come servi, di ottenere conquiste sociali prima inimmaginabili.
Noi – quelli della mia generazione – siamo quelli che il mondo economico e quello politico non sono riusciti a dominare del tutto, perché la memoria di ciò che si è vissuto non si può cancellare. Ma i cervelli si possono lavare bene se lo si fa fin dalla nascita. Noi siamo quelli che diciamo “non dare in mano al bambino lo smartphone, perché è troppo piccolo!”, “Non abituare la bambina a sentirsi una femminuccia perché si ritorna a prima degli anni Sessanta!”, ma non veniamo ascoltati, perché la Società non vuole e cerca di emarginarci e farci sentire inutili. Siamo quelli che oggi si meravigliano perché i giovani non trovano nessun’altra reazione alle ingiustizie, alle violenze e a tutto quello che non va in questa società che l’accettazione passiva, l’odio, l’assoluta mancanza di empatia, il menefreghismo, l’egoismo e a volte anche l’illegalità.
Ci chiediamo perché i giovani non si ribellano. La mia risposta è questa: non si ribellano perché non vedono. Non vedono perché non hanno vissuto tutti i cambiamenti – in meglio o, più spesso, in peggio – e non vedono perché sono stati educati fin da piccoli a diventare consumatori compulsivi e acritici attraverso la televisione (la tv commerciale) e tutti i media. E perché allora anche noi genitori non ci siamo resi conto che eravamo manipolati.
I giovani non si rendono conto che noi (non i vecchi politici, che, insieme a chi ha gestito il potere economico, sono in gran parte responsabili della pessima società in cui ci troviamo), ma noi sessantenni comuni, che abbiamo continuato a studiare e a riflettere, educati ai Valori, noi che vediamo bene quello che hanno fatto negli ultimi cinquant’anni, e che continuiamo a vedere bene come ci manipolano ogni giorno, siamo quelli che possono ancora aiutare la società.
Noi ci siamo ribellati quando eravamo ragazzi. Adesso tocca a voi, ribellarvi, con tutti i mezzi legali che esistono. Ma per farlo dovete prendere consapevolezza di ciò che sta accadendo. Ascoltarci. Studiare. Riflettere. E poi agire, seguendo la legalità. Non bisogna perdere tempo. Bisogna tacere per raccogliere le idee, tapparci le orecchie per non sentire il canto delle sirene, smetterla di correre dietro ai leoni da tastiera, raccogliere le forze per poter raccogliere i pensieri. Il bubbone è scoppiato. Bisogna trovare come uscire da questo momento.
Nota bene: Preciso che lo spazio di un articolo è, ovviamente, del tutto insufficiente a riflessioni tanto complesse. E preciso anche che qui non si fa riferimento a partiti, come qualcuno si butterà a sostenere. Semmai si fa riferimento alla Politica. Questa nota è perché so come ragionano i leoni da tastiera.