“Insegnare è sempre stato il mio sogno, ma a volte torno a casa distrutta e ho voglia di piangere”./2 Risposta

Lettere e risposte
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Ecco la risposta alla lettera di Tatiana, che ho già pubblicato.

Cara Tatiana, se ho scritto il libro “L’arte di insegnare” è perché non sei certo l’unica insegnante ad avere difficoltà. Se ho scritto “Maleducati o educati male?” e se gli articoli che scrivo sul blog e ora sul sito sono tanto letti è perché sia i genitori che gli insegnanti hanno delle difficoltà. E – hai ragione – penso anch’io che quello che scrivo sarebbe molto utile a chi deve insegnare o educare soprattutto prima e non quando ormai ha dei problemi. Ma non è mai troppo tardi: o ti rendi conto che con il tempo e con la buona volontà impari (il più delle volte succede così), o ti rendi conto che devi cambiare lavoro, perché non tutti sono in grado di insegnare e di gestire una classe.

Sul secondo punto rispondo già a chi non vuole accettare che esista questa possibilità perché “ormai non posso cercare altro”, o perché “ma io voglio fare l’insegnante!” o –peggio- a chi protesta “Ma come? Lei sta suggerendo di rinunciare?”.

Bisogna prendere atto di questo semplice concetto: non tutti possono fare bene tutti i lavori. Non tutti possono diventare chirurghi, o cavatori, o ballerini, o bagnini, o matematici, o attori, o calciatori professionisti, o piloti d’aereo, o camionisti, ecc. Neanche se lo desiderano molto. Per tanti motivi che non sto qui a spiegare perché credo che siano chiari. O meglio: si può riuscire a studiare o a prepararsi per diventare per esempio ginecologo, ma poi –se sei molto ansioso – potresti non essere un bravo ginecologo. Ho visto una ginecologa farsi prendere dal panico all’arrivo in ginecologia di una paziente con un’emorragia. Vale per l’insegnante e vale per moltissimi altri mestieri e professioni. A meno che non vogliamo dire che la professione di insegnante è così facile che possono farla tutti.

Quindi affermo: se un insegnante non impara a gestire la classe, anche se ha tanta buona volontà, anche se è preparatissimo nella sua materia, non può essere un bravo insegnante, semplicemente perché non riesce a trasmettere praticamente nulla di tutto quello che sa. E – non dimentichiamolo- è condannato a una vita lavorativa d’inferno. Voglio ripeterlo: ho visto colleghi piangere uscendo da una classe, e anche vomitare prima di entrare. Solo chi insegna può capire quanto può essere umiliante essere sbeffeggiati da dei bambini (o ragazzini, o ragazzi).

Non so se tu sei adatta o meno a insegnare, Tatiana. Ma posso dirti che hai una delle caratteristiche che deve avere chi vuole diventare insegnante: il desiderio di insegnare unito alla buona volontà. È importante, ma non basta.

Allora, vediamo.

  • “Insegnare è sempre stato il mio sogno da quando ero bambina”: insegnare è un tuo forte desiderio. Benissimo.
  • “Per svolgere questo lavoro ho studiato molto: laurea in Scienze della Formazione Primaria, specializzazione sul sostegno e superamento concorso ordinario.”. Ti sei preparata bene. Ottimo.
  • “Ho fatto per molti anni sostegno”: hai anni di esperienza, anche se con uno o pochi bambini.
  • Fino a qui hai le carte in regola, Tatiana. Ma procediamo.
  • Adesso ti hanno dato una classe intera, e hai scoperto che gestire uno o due bambini non è la stessa cosa che gestire a una classe intera (cosa che dovrebbero capire bene anche certi genitori, certi politici e anche certi psichiatri e specialisti che accusano gli insegnanti).
  • “Purtroppo conoscendo il mio carattere timido e riservato ero ben consapevole delle difficoltà di gestione della classe a cui andavo incontro, perciò ho letto il suo libro e seguo con molto interesse i post che pubblica in internet. Il fatto di sapere di non essere l’unica ad avere problemi nella gestione della classe mi consola un po’”. Benissimo. Hai cercato di darti da fare. Leggi anche “Maleducati o educati male?”, che ti servirà senz’altro a capire da che cosa deriva l’autorevolezza.
  • Se “Si tratta di una classe che ha la fama di essere difficile”, è difficile anche per gli insegnanti, che fingono che con loro vada tutto bene. Magari lo è di meno che per te. Ma hanno difficoltà anche gli altri, credimi. È difficile che un collega ammetta di non riuscire a gestire la classe.
  • “Mi sto impegnando al massimo per creare lezioni interessanti, con esperimenti e utilizzando dei siti che propongono attività, gare e quiz matematici pur avendo a disposizione pochi computer e mal funzionanti.”: benissimo, Tatiana. Ma non basta, perché evidentemente non è la qualità delle lezioni che ti impedisce di gestire la classe.
  • “Purtroppo nonostante il mio impegno sono molto demoralizzata perché i ragazzi non hanno con me lo stesso comportamento che dimostrano con la collega”, “Me lo ha detto un bambino: con l’altra maestra non fanno così. Infatti la collega mi ha riferito che con lei ora lavorano bene.”, “Ho parlato con la mia collega facendo presente che sono scoraggiata... Oggi mi ha suggerito di rimanere fuori a preparare qualche lezione, e quando dopo un po’ sono entrata per caso in classe a portare dei quaderni, ho capito perché: stava parlando ai bambini di me”. Tanto per cominciare, Tatiana, ricorda che non sempre un insegnante che riesce a gestire la classe sta facendo un buon lavoro. Forse la gestisce con il terrore, o con le minacce, o annientando i bambini, o umiliandoli. Forse riesce a gestirli, ma lo odiano. Ci sono insegnanti con i quali i bambini/ragazzi si scatenano, ma che sono amati. Questo non significa che siano dei bravi insegnanti, come ho scritto sopra. Ma è bene ricordarlo. Senza contare il fatto che non dobbiamo sperare di essere amati dagli alunni, ma di essere stimati. E il nostro compito non è quello di amarli, ma quello di rispettarli e aiutarli. Che poi ci sia fra di noi anche un rapporto basato sull’affetto è solo una conseguenza.
    Poi: la tua collega dimostra poca sensibilità, mania di protagonismo e parlando, in classe di te, e addirittura sollecitando gli alunni a esprimere le loro lamentele, poca correttezza professionale. perché – di fatto – ha approvato le critiche.
    Molto male, collega di Tatiana. Una insegnante a cui una collega si rivolge confidandole le sue difficoltà e il suo sconforto dovrebbe assolutamente aiutarla a risollevarsi, non aiutarla ad andare più a fondo. Intanto evitando di dire “con me si comportano bene”, che fa molto “prima della classe”. Naturalmente parlo di aiutare le colleghe che ce la mettono tutta e non quelle (o quelli) che fanno scorrettezze, che invece devono assolutamente essere denunciate, senza pietà. Ma al dirigente, non ai bambini o ai genitori. Una brava insegnante deve essere anche una brava collega. Altrimenti – secondo la mia opinione- non è una brava insegnante. Essere bravi insegnanti significa anche saper lavorare in équipe. La tua collega, Tatiana, vuole essere lei “LA maestra” per eccellenza. Quindi in realtà le fa piacere ergersi a giudice massimo, a portavoce degli interessi dei bambini, a punto di riferimento unico. Non si fa così. Se ci sono dei problemi si parla fra adulti, non si raccolgono le confidenze dei bambini. Ci sono altri modi per conoscere eventuali veri problemi senza istituire un processo.  Se i ragazzi si lamentano con me di una collega in quel momento assente (e il fatto che la tua collega ti abbia suggerito di rimanere fuori la dice lunga) non devo assolutamente lasciare che lo attacchino. Devo dire “Non dovete parlare con me ma con la vostra insegnante”. E se voglio aiutarla devo anche aggiungere: “Naturalmente, anche se non so quale sia il problema, dovete sempre ricordare che prima di accusare qualcuno dovete chiedervi come vi comportate voi, se siete alunni educati, ecc. Perché a me sembra che voi …ecc.”.
  • “Alcuni bambini mi prendono in giro perché parlo troppo veloce, si permettono di giocare con delle trottoline mentre sto spiegando, qualche volta si alzano per andare a chiedere qualcosa ai compagni, oppure parlano a voce alta mentre spiego, prendendomi in giro”, “Ieri ci siamo spostati in aula LIM e alcuni si sono messi a maneggiare e lanciare oggetti che erano in quest’aula, qualcuno è andato sotto al tavolo…uno ha fatto cadere l’astuccio di una compagna di proposito” : cara Tatiana, sono ragazzini male educati. Sia dai genitori che dagli insegnanti. Evidentemente non riesci a bloccare sul nascere (e con “sul nascere” intendo proprio al minimo segno di disturbo maleducato) questi comportamenti. Rileggi i miei libri, Tatiana.
  • “Se mi arrabbio perché non scrivono mi rispondono in malo modo, a volta urlandomi contro dicendo che è colpa mia che vado troppo veloce”. “Mi contestano i voti: ‘Perché hai messo dieci a uno che ha fatto un errore? ’: non devi permettere agli alunni di urlarti, di rimproverarti, di accusarti. Sei tu l’insegnante, non loro! Te lo dimentichi, in quel momento.
  • Ti senti in dovere di precisare a me “non è vero perché tutti hanno copiato tranne quelli che ho richiamato”: lo fai perché sotto sotto pensi che potrebbe anche essere giustificato pensare che forse non sei in grado di valutare la velocità con cui devi spiegare. Ma non sei un’insegnante, Tatiana? Lo sai da sola a quale velocità devi spiegare o dettare o fare qualunque cosa. E se ti accorgi di andare troppo veloce sei in grado di rendertene conto e di modificare. Non dovresti dare spiegazioni sulle tue scelte a nessuno. Invece, quando gli alunni si permettono di contestare i voti (ma sono loro gli insegnanti, Tatiana?) tu ti metti a spiegare (magari con la faccia di chi si sta giustificando, timorosa) “che dipende dalla tipologia di prova, che era difficile quindi sono stata più alta”. Errore colossale. Tutti gli insegnanti hanno il dovere di spiegare chiaramente all’inizio dell’anno (possibilmente anche ai genitori) come vengono dati i voti, quando viene data la sufficienza, che cosa si deve fare per ottenerla o per avere dei voti più alti, e, soprattutto, devono spiegare che ognuno viene valutato per se stesso e non deve mai fare confronti con gli altri. Ma non deve mettersi a mercanteggiare sui voti o lasciarsi contestare. Ecco uno dei motivi per cui l’autorevolezza precipita giù. Se un alunno non capisce perché ha preso un’insufficienza e lo chiede con rispetto ed educazione si può decidere di spiegarglielo bene (anzi, è opportuno) in separata sede. 
  • “A volte mi chiedo perché pur impegnandomi al massimo faccio fatica a farmi ascoltare”. Ti rispondo subito, nel punto successivo.
  • Ecco la risposta, che ti sei già data da sola: “Purtroppo conoscendo il mio carattere timido e riservato ero ben consapevole delle difficoltà di gestione della classe a cui andavo incontro.”. Ecco il tuo problema, Tatiana. Esclusi problemi vari (se dalle tue parole non si fosse capito che ce la metti tutta, che studi per migliorare, anche il livello delle tue lezioni, che cerchi di capirli, ecc. avrei potuto pensare ad altri problemi) posso dirti che non hai la necessaria autostima (leggi anche “Maleducati o educati male?”, te lo ripeto, perché ho scritto parecchio sull’autostima), e non hai il carattere giusto per essere percepita come autorevole. (Rileggi “L’arte di insegnare” dove l’ho spiegato in modo approfondito.
  • Cosa posso fare? Con la mia laurea non ho altri sbocchi lavorativi, se qualcuno mi avesse detto che non ero adatta per questo lavoro probabilmente avrei cambiato strada prima”. Credo che per diventare insegnanti dovrebbe essere studiata una forma di verifica della capacità di gestire una classe. So che tanto tempo fa era prevista una prova pratica. Sarebbe ora di ripensarci. Che cosa puoi fare? Puoi lavorare su te stessa e sul tuo modo di porti. Anche aiutata da una psicologa che ti guidi. Come avrai letto nel mio libro, chi non è capace di farsi rispettare nella vita (magari è questo che tu chiami “carattere timido e riservato”) non può pensare di farsi rispettare da una classe di 28 alunni che non vedono l’ora di divertirsi alle spalle di qualcuno. E per essere buoni insegnanti, per avere carisma, bisogna avere anche la capacità di recitare, di attirare l’attenzione. Come può farlo chi è timido e riservato?

Cara Tatiana, forza! Metticela tutta. Fammi sapere

P.S. Tanto per far capire il concetto: quando sono passata di ruolo alle medie, dopo aver insegnato al triennio delle superiori, sono stata assegnata a una classe delle medie difficilissima. La più difficile che ho mai avuto. Era una terza media. In seconda media si erano lanciati sedie, avevano fatto proposte oscene a una insegnante, fatto la pipì in classe come risposta a “Non puoi uscire”, avevano tirato fuori coltelli e avevano mandato  fuori di testa l’insegnante (che io ho sostituito in terza) che un giorno aveva cominciato a urlare “Figlio di puttana!” a un alunno e il preside l’aveva tolta dalla classe.

Ebbene, Tatiana, credimi: ho passato un anno d’inferno, tre volte la settimana, perché avevo due scuole. Non riuscivo a mangiare né la sera prima di entrare, né  quando uscivo da quella classe. Sono riuscita a gestire quegli alunni terribili (alcuni avevano il padre in prigione)  e nessun alunno mi ha mai mancato di rispetto, né ha lanciato sedie, né fatto la pipì in classe quando mi sono azzardata a dire “No, non puoi uscire!”. Sono stata molto lodata dal preside. Ma praticamente non sono riuscita a insegnare storia. Io, Isabella Milani, posso dire che non ho avuto difficoltà? Quelli che dicono di non avere difficoltà nelle classi difficili mentono. O permettono ai ragazzi di fare tutto quello che vogliono. Dovrebbero dire, al massimo: fatico anch’io, ma con l’esperienza riesco a gestire la classe. E non “con me si comportano bene”. Tatiana, con l’esperienza e le prove, vedrai che riuscirai a farcela.

Dovrei scrivere un articolo tutto su quella classe.

 

 

 

 

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