Le sconfitte degli insegnanti

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Avevo un alunno che voleva picchiare tutti.

La sua frase più frequente quando si rivolgeva ai compagni era “Cerchi delle botte?”. Era un ragazzo difficile, perché difficile era il suo rapporto con la famiglia. Era sbandato già a undici anni, lasciato solo tutto il giorno.  A dodici anni se ne andava tranquillamente a passare la serata con ragazzi più grandi -venti-venticinque anni-, e chiunque gli dimostrasse un minimo di attenzione per lui diventava subito “un mio amico”.  Così seguiva chiunque -ragazzi grandi o uomini appena conosciuti – gli sembrava che potessero essergli amici,  e finiva preda dei malintenzionati.

In prima media era stato bocciato e lo avevo “ereditato” io, come si dice fra noi insegnanti. Era un ragazzo difficile perché soffriva della sua solitudine, della mancanza di affetto, e ovviamente mi ci sono buttata anima e corpo, perché dietro la scorza rude, dietro il comportamento aggressivo, vedevo il ragazzo buono, simpatico, pieno d’amore che non era capace di esternare nel modo giusto, perché non lo aveva mai ricevuto nel modo giusto.
L’italiano non era il suo forte, no, ma nell’inventare scenette umoristiche era un genio. In altre condizioni avrebbe potuto studiare, e magari diventare attore. Chissà. Era quello che sognavo per lui.

Una volta – per lui- ho portato una audiocassetta di quelle che servono per il rilassamento, in cui una voce ti aiuta a visualizzare prati verdi e cieli azzurri e ti mostra la via per la calma e la serenità.
Ho fatto fare a tutti il rilassamento, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata sul banco. Appena terminata, ho detto al mio alunno difficile “Ah, ho dimenticato di dirti che un ragazzo di terza B ha detto che tu gli hai rubato il portafoglio con i soldi”. Lui, che normalmente avrebbe protestato, chiesto chi si era permesso di accusarlo, promettendo che lo avrebbe picchiato, questa volta ha risposto pacatamente “Professoressa, non è assolutamente vero. Le assicuro che io non ho toccato niente”.  Allora ho risposto: “Lo so che non è vero, infatti. Solo che ho voluto fare vedere a te e agli altri che esistono mezzi per rilassarsi e affrontare le cose in un modo più giusto, cioè parlando. Le cose si possono risolvere anche con mezzi come quello che vi ho fatto provare oggi. E hai visto che la tua reazione non è stata quella che ha di solito.”
È stata una “Lezione”, con la Elle maiuscola e le virgolette.

Ho fatto davvero un buon lavoro, con questo ragazzo. Giorno dopo giorno. In tre anni ha smesso di frequentare i pub, si è impegnato a scuola, e alla fine voleva diventare carabiniere.

Ma tre anni sono troppo pochi per cambiare la vita di un ragazzo che ci viene affidato in una classe con tanti altri. Probabilmente è vero: se non avesse incontrato me e la strada alternativa che gli ho indicato, sarebbe finito male prima dei vent’anni.

Questo ragazzo, però, purtroppo è stesso Paolo del precedente articolo,  che vi prego di leggere prima di continuare, se non lo avete ancora fatto.

Questo Paolo, che ho salvato quando aveva tredici anni, adesso si è perduto. Non ce l’ha fatta a mettersi in salvo.

Si trova in prigione, proprio adesso. In una di quelli prigioni dall’altro capo del mondo, dove hai buone probabilità di non sopravvivere.

E queste sono le sconfitte degli insegnanti. Quando vieni a sapere che un tuo alunno, uno di quelli che ti avevano tanto preoccupato, per il quale avevi provato pena, rabbia, gioia, delusione e speranza, e che credevi che si fosse salvato, è finito male.
Questa è la paura degli insegnanti: quella di non riuscire a salvare gli alunni difficili. E solo chi ha avuto questi alunni così disgraziati, sfortunati, infelici e solo apparentemente sbruffoni e forti, solo chi combatte per loro, per strapparli alla vita cattiva che li rende fragili, o aggressivi può capire il dolore che provo.
Non vinciamo sempre, ma non bisogna smettere mai di tentare di salvare i ragazzi difficili. Per nessun motivo. Contano su di noi e non possiamo abbandonarli.
Per me, i miei alunni rimangono “i miei alunni” per sempre.

Il mio alunno, il mio sfortunato Paolo, così affamato di amore da essere preda di chiunque gli dimostrasse un minimo di interesse, adesso è in una prigione di quelle in cui vivi nello sporco, e nel degrado, in cui ti fanno dormire in terra, non ti danno da mangiare se non paghi, non ti curano se ti ammali. Sarà disperato? Avrà la febbre alta? Avrà freddo, o caldo? Dormirà in terra? Quanto lo insulteranno e lo picchieranno? Che cosa gli faranno? *
Ha sbagliato,  certo, e anche se lui è la prima vittima, è giusto che stia in prigione. Ma non là – per carità – non in mezzo agli scarafaggi, solo più che mai. Deve avere una prigione con il letto, il cibo, le medicine, le coperte, le docce. Deve essere trattato con umanità, anche se ha sbagliato. Perché non è giusto che la vita lo abbia reso come è diventato, e adesso gli riservi anche questo trattamento.

Paolo non è un uomo cattivo. Era un ragazzo buono, buonissimo. E adesso è un uomo buono che ha sbagliato. Lo so perché dopo la lettera che mi aveva scritto l’ho incontrato e ho visto che dentro a quel corpo di uomo c’era lo stesso ragazzo che avevo conosciuto.
Vorrei tanto aiutarlo.

Ma che cosa posso fare, io, per lui, adesso?

Se avete delle idee, scrivetemi, per favore (  professoressamilani@alice.it )

Leggete anche questo, se volete capire meglio.

Dimenticati e senza diritti, sono oltre tremila gli italiani detenuti all’estero.

 

 

Nota:

Ho scelto come immagine una illustrazione del libro di Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno” perché Paolo era come il bambino protagonista del libro, Pin, che avrebbe voluto appartenere al mondo degli adulti, per sentirsi più grande, ma avrebbe anche voluto giocare con i bambini, per essere uguale agli altri. Invece viene rifiutato da tutti, e  rimane fuori da tutti e due i mondi.

“A volte il fare uno scherzo cattivo lascia un gusto amaro, e Pin si trova solo a girare nei vicoli, con tutti che gli gridano improperi e lo cacciano via. Si avrebbe voglia d’andare con una banda di compagni, allora, compagni cui spiegare il posto dove fanno il nido i ragni, o con cui fare battaglie con le canne, nel fossato. Ma i ragazzi non vogliono bene a Pin: è l’amico dei grandi, Pin, sa dire ai grandi cose che li fanno ridere e arrabbiare, non come loro che non capiscono nulla quando i grandi parlano. Pin alle volte vorrebbe mettersi coi ragazzi della sua età, chiedere che lo lascino giocare a testa e pila, e che gli spieghino la via per un sotterraneo che arriva fino in piazza Mercato. Ma i ragazzi lo lasciano a parte, e a un certo punto si mettono a picchiarlo; perché Pin ha due braccine smilze smilze ed è il più debole di tutti. Da Pin vanno alle volte a chiedere spiegazioni su cose che succedono tra le donne e gli uomini; ma Pin comincia a canzonarli gridando per il carrugio e le madri richiamano i ragazzi: – Costanzo! Giacomino! Quante volte te l’ho detto che non devi andare con quel ragazzo cosi maleducato! Le madri hanno ragione: Pin non sa che raccontare storie d’uomini e donne nei letti e di uomini ammazzati o messi in prigione, storie insegnategli dai grandi, specie di fiabe che i grandi si raccontano tra loro e che pure sarebbe bello stare a sentire se Pin non le intercalasse di canzonature e di cose che non si capiscono da indovinare. E a Pin non resta che rifugiarsi nel mondo dei grandi, dei grandi che pure gli voltano la schiena, dei grandi che pure sono incomprensibili e distanti per lui come per gli altri ragazzi, ma che sono più facili da prendere in giro, con quella voglia delle donne e quella paura dei carabinieri, finché non si stancano e cominciano a scapaccionarlo. Ora Pin entrerà nell’osteria fumosa e viola, e dirà cose oscene, improperi mai uditi a quegli uomini fino a farli imbestialire e a farsi battere, e canterà canzoni commoventi, struggendosi fino a piangere e a farli piangere, e inventerà scherzi e smorfie cosi nuove da ubriacarsi di risate, tutto per smaltire la nebbia di solitudine che gli si condensa nel petto le sere come quella.”

“Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti scoscesi, dove nessuno coltiva. Ci sono strade che solo lui conosce e che gli altri ragazzi si struggerebbero di sapere: un posto, c’è, dove fanno il nido i ragni, e solo Pin lo sa ed è l’unico in tutta la vallata, forse in tutta la regione: mai nessun ragazzo ha saputo di ragni che facciano il nido, tranne Pin.

Forse un giorno Pin troverà un amico, un vero amico, che capisca e che si possa capire, e allora a quello, solo a quello, mostrerà il posto delle tane dei ragni. E’ una scorciatoia sassosa che scende al torrente tra due pareti di terra ed erba. Lì, tra l’erba, i ragni fanno delle tane, dei tunnel tappezzati d’un cemento d’erba secca; ma la cosa meravigliosa è che le tane hanno una porticina, pure di quella poltiglia secca d’erba, una porticina tonda che si può aprire e chiudere.”

“C’è la speranza che un giorno ci sia un mondo migliore, senza più prigioni.”

                                                                     Da Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno.

 

 

 

 

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