Il mondo in cui viviamo, in cui vivono i nostri figli e i nostri alunni -bambini e ragazzi- è violento. La violenza non è solo fisica – come si sa- e non è solo psicologica. Ma soprattutto non è solo la violenza che accade a noi, ma anche quella con cui veniamo a contatto indirettamente o di cui veniamo a conoscenza. Perché se vedo picchiare a sangue una persona, quella violenza mi entra dentro, mi scuote, mi ferisce, anche se nessuno mi ha toccato. Tante piccole e grandi violenze arrivano a noi tutti non solo attraverso le continue notizie di stupri, di atti di bullismo, di uccisioni, di aggressioni omofobe, ma anche attraverso le immagini crude che i media e la rete ci mostrano – a volte senza che facciamo in tempo a evitarle- e rappresentano esse stesse una forma di violenza: ragazzi incastrati fra le lamiere di un’auto, corpi coperti da lenzuola insanguinate, donne estratte morte dalle macerie di un terremoto, bambini uccisi durante uno scontro a fuoco, cani impiccati, gatti mutilati, ecc. Senza contare i programmi che usano deformità e malattie raccapriccianti per fare spettacolo, o che raccontano i delitti più efferati, descrivendo e rappresentando tutti i più macabri particolari.
Questa massiccia e quotidiana somministrazione di violenza (a grandi e piccini) fa si che ci sia una specie di assuefazione: a forza di vederla – la violenza reale mescolata con quella di film e fiction – è diventata familiare, e ha perso quella carica di orrore e repulsione che è alla base della non violenza.
Ogni atto violento ha delle radici, ma credo che certe forme di violenza, oggi, siano anche il frutto di questa overdose di brutalità, di aggressività, di prepotenza, e sono convinta del fatto che il bullismo non vada curato ma prevenuto. Un bullo è un ragazzo (a volte anche un uomo o donna) a cui non è stata insegnato ad avere compassione.
È necessario restituire alla violenza quella carica di disapprovazione sociale, quella sensazione di orrore, di ribrezzo, e quel sentimento di tristezza e di pietà che deriva dall’essere testimoni di un’ingiustizia, o di qualcosa che va contro la naturale tendenza alla vita.
Come fare? Bisogna lavorare – come genitori e come insegnanti – per evitare che i bambini e i ragazzi siano sottoposti a scene di violenza. La violenza esiste, ma non è certo abituandoli a considerarla “normale” che si cresceranno ragazzi non violenti. Bisogna che pensiamo noi a proteggerli, visto che i media non rispettano la loro sensibilità.
Ma non basta. È necessario dedicare del tempo – a casa e a scuola- per far capire che la violenza è sempre frutto di crudeltà, di disumanità, di sentimenti negativi e distruttivi. Bisogna far capire che le vittime di violenza sono persone che provano paura, rabbia e dolore.
I bambini e i ragazzi devono imparare che se fanno del male a qualcuno questa persona soffre, e che può capitare – commettendo una violenza, di rovinare tutta una vita. È indispensabile insegnare il significato dell’empatia, e anche quello del pentimento. Il pentimento non è quel senso di colpa in passato tanto caro a chi educava per dominare facilmente i bambini e i ragazzi. Il senso di colpa è deleterio perché nasce da colpe in realtà inesistenti. Il pentimento è la sensazione sgradevole che nasce dall’aver provocato dolore. Perché troppo spesso i ragazzi fanno del male senza neppure rendersene conto.
Per tentare di restituire quel sentimento di rifiuto della violenza, suggerisco di partire, per esempio, da questo interessante video di Skytg24, uno speciale sulle vittime del terrorismo, proprio dal punto di vista delle vittime.
Mi è piaciuto proprio il punto di vista del programma: non più quello che di solito viene presentato, e cioè puntando l’obiettivo solo sulla storia di chi ha un ruolo importante nella società. In questo speciale l’obiettivo è puntato sulle persone (tante) che stanno sempre dietro le quinte della Storia. Le persone come noi.
Il terrorismo ha seminato terrore, dolore e morte. Provate a far vedere ai ragazzi questi due video (in realtà è un unico servizio diviso in due parti, così che potrete farlo vedere in due lezioni diverse). Proponetevi di far cogliere quanto dolore c’è stato nella vita delle vittime dei terroristi. Al di là della politica, al di là delle ideologie, al di là dei personaggi e della Storia, sono esistite le famiglie delle persone socialmente importanti, ma anche le altre, quelle delle persone qualunque, dei servitori dello Stato.
Chiedete proprio di cercare nel video tutto il dolore che traspare chiaramente, e quello che viene solo intuito. Per esempio, potete chiedere di appuntare e di condividere con la classe le frasi più dense di significato o le immagini più intense. E le riflessioni che hanno fatto guardando le immagini, ascoltando le telefonate registrate, le varie testimonianze e le riflessioni delle due giornaliste.
Personalmente io preferisco fare vedere il video tutto insieme e poi, rivedere le varie sequenze, lasciando il tempo per riflettere e commentare. Lo scopo è il lavoro e le riflessioni che scaturiscono, non solo la visione dello speciale.
Sono sicura che rimarrete sorpresi di quello che riuscirete a far capire. E anche di quello che riuscirete a capire dei ragazzi.
Lascerò la possibilità di commentare, soprattutto perché possiate raccontare le reazioni dei vostri alunni.
Fatemi sapere.
“Come ci si vedrà dopo”. Terrorismo. Le storie delle vittime. Prima Parte
“Come ci si vedrà dopo”. Terrorismo. Le storie delle vittime. Seconda Parte.
Continua
Molto interessante. Grazie