Eva mi scrive:
“Gentile professoressa, sono insegnante da 10 anni… e poche volte purtroppo non ho dovuto combattere con gli alunni.
Ecco il copione che si presenta di solito: i primi giorni sembra che vada tutto bene… poi, non so cosa io dica o cosa io faccia (a me sembra di comportarmi in modo normalissimo) che lancia alla mente dei ragazzi il messaggio: “Insultabile!” All’inizio è qualche risatina dietro le spalle, qualche battutina in classe a cui cerco di rispondere amichevolmente ma facendo capire che non è il contesto giusto. Presto si scatena il caos. Arrabbiarmi non serve. Cercare di stare calma non serve. Cercare di capirli e di farmi spiegare le loro ragioni non serve. Ridono solo ancora più forte. Una volta è capitato che mi circondassero per strada lanciandomi dietro invettive… Ogni volta che ricomincia l’anno scolastico spero di essere maturata abbastanza e che stavolta andrà diversamente, e ogni volta devo amaramente ricredermi. Ho versato lacrime al ritorno a casa, a volte non sono riuscita a trattenerle neanche in classe…
Convocare il consiglio di classe? L’ho fatto qualche volta. Niente da fare. Essere più riservata e severa? Niente da fare. Chiedere aiuto al preside? La risposta di solito è “Bisogna essere autorevoli e non autoritari e non venga a piangere da me, un insegnante deve saper tenere la classe”.
Sì, sono minuta. Sì, sono riservata. Sì, ho la voce da papera. Sì, vedo insegnanti in gambissima ogni giorno con le mie stesse caratteristiche e cerco di imitarli, ma chissà perché le stesse parole, gli stessi atteggiamenti, con me hanno il significato opposto. E ogni giorno vado a scuola col terrore che le cose peggiorino e faccio lezione chiedendomi sempre se la mia reazione è stata quella giusta o se non ho commesso l’ennesimo errore…
Vorrei soltanto poter fare il mio mestiere senza essere maltrattata, è chiedere tanto? Se solo sapessi cosa, ai loro occhi, mi marca come zimbello.
Mi vesto in modo troppo giovanile? No. Cerco di chiacchierare con loro in modo amichevole? Sì. Cerco anche di essere disponibile verso i loro problemi. Questo mi etichetta come “debole”?
Comincio a perdere la fiducia in questi ragazzi e a credere di vivere in un mondo di bulli che traggono divertimento dalla sofferenza altrui. E non voglio che succeda. (Sono stata “bullata” da ragazzina e pensavo proprio, crescendo, di poter aiutare altri a uscire da questo problema… ma a quanto pare non ne sono ancora uscita io…
Due esempi che riguardano la mia classe attuale (una quinta superiore, tutta maschile: può capire quindi la mia apprensione!)
L’altro giorno durante una lezione di storia intervengo e dico ai ragazzi “Se vi può interessare, questi erano i tempi e i luoghi in cui erano ambientate le storie di Zorro”… Cosa ho detto di strano? Nulla, secondo me. Il giorno dopo, entrando in aula trovo un ragazzo di un’altra classe che mi chiede informazioni al riguardo con un sorriso un po’ vistoso, perché, dice, “alla mia sorellina piace tanto Zorro”. Gli do le informazioni che ha chiesto con gentilezza. Appena mi giro lo sento fare una risatina chioccia alle mie spalle imitandomi. Mi giro cercando di restare calma e chiedo “Cosa c’è?” Uno della classe mi risponde “Niente, sta facendo lo stupido”. “Ah sì?” e non aggiungo altro, continuando a fare la faccia severa (almeno credo: spero basti, anche se comincio ad avere la solita paura strisciante). Siamo nel cambio dell’ora, quindi faccio come se ignorassi il ragazzo e quando mi apostrofa di nuovo gli dico un paio di volte di tornare nella sua aula prima che arrivi il professore: “Arrivederci”. Lui tenta un’altra battutina. “Ma non mi dire. Arrivederci”. Penso quasi di essermi comportata bene. Ma quando infine lui esce (e internamente io sospiro di sollievo), prima che la porta si chiuda mi strilla “Zorro!” con la vocetta chioccia di prima. Perché? Cosa ho detto? Cosa ho fatto? Mi piacerebbe credere a un episodio isolato ma la mia esperienza precedente mi contraddice… infatti il giorno dopo ancora (oggi), dopo le lezioni, sento di nuovo lo stesso ragazzo strillare da fuori la porta dell’aula chiamandomi per nome mentre passa… appunto, con la solita vocetta chioccia.
Ovviamente che posso fare? Rassegnarmi ad essere insultata da lui tutto l’anno e ignorarlo, perché se reagissi sarebbe per lui fonte di enorme divertimento, e comunque negherebbe di aver detto e fatto quel che ha detto e fatto, e i suoi amici starebbero tutti in circolo e si godrebbero la scena…
Almeno, mi consolo, non è stato uno dei miei ragazzi a farlo. Ma ecco una cosa capitata oggi che mi inquieta.
Non c’era l’insegnante dell’ora e sono stata lasciata sola coi ragazzi. Si sono comportati anche bene (sono bravi dopotutto… sono quasi tutti maggiorenni…), sono stati abbastanza silenziosi… magari potesse rimanere sempre così. A un certo punto si sono radunati tutti a vedere video comici attorno al telefonino, ma visto che era un momento di rilassatezza e stavano tranquilli non ho detto nulla.
Però… alla fine dell’ora li sento che leggono ad alta voce gli “annunci personali del giornale” e ridono. Forse dovevo far finta di niente, ma a quel punto ho pensato di non potere e ho detto: “Ragazzi, se dovete fare queste cose almeno abbassate la voce…” Non solo l’hanno alzata, ma hanno cominciato a far finta di aver trovato una che corrisponde alla mia descrizione tra le “inserzioniste”. Non sorrido, commento “come no” (temo che qualsiasi altra reazione scatenerebbe l’ilarità) e mi metto a prepararmi. Mi dicono allora “Per lei c’è questo: Marco, 40 anni…” Cerco di minimizzare: “No, grazie, non m’interessa, ho un marito che va benissimo”. “Ma ci si può sempre fare gli amanti!” “No, grazie, sto bene così”. “Ah, ha già gli amanti? Va bene allora!” Non rispondo, e la cosa finisce lì perché suona la campana…
Un semplice scherzo che non avrà conseguenze, SPERO. Ma le mie colleghe mi hanno già terrorizzata dicendo che “basta far prendere tanto di confidenza” e i ragazzi ti molestano, e raccontandomi storie di altre che hanno subito orribili esperienze (poco diverse da quelle subite da me in passato, purtroppo…)
Spero che lei potrà darmi una parola di conforto. Mi scusi per la lunghezza…”
Cara Eva, cerco di aiutarti più che posso, facendoti notare alcune frasi che hai scritto. Sono costretta ad essere molto schietta, ma credo che serva questo, per farti capire bene. I giri di parole spesso confondono e lasciano il tempo che trovano. Devi arrabbiarti, leggendo questa risposta. Devi convincerti del fatto che gli alunni non devono permettersi di mancarti di rispetto.
Scrivi:
“…qualche battutina in classe a cui cerco di rispondere amichevolmente ma facendo capire che non è il contesto giusto.”: Eva, ti hanno mancato di rispetto e tu fai capire che non è il contesto giusto? Quindi c’è un contesto giusto? E, soprattutto, lo fai “amichevolmente”?
L’insegnante, anche se avesse la loro stessa età, ha un ruolo ben preciso, che è quello di insegnare. Non può essere amica né amichevole. Deve essere “l’insegnante”. Nel momento in cui ti percepiscono “una di loro” hai perso il tuo ruolo. Come ho già detto, il rapporto fra docente e alunno è asimmetrico: tu sei più su, sei quella che dà, e loro quelli che ricevono. Se scendi giù non riesci più a salire.
“Ho versato lacrime al ritorno a casa, a volte non sono riuscita a trattenerle neanche in classe…”: Eva, mai e poi mai mostrarsi deboli: noi siamo insegnanti, persone sulle quali loro devono fare affidamento, educatori, guide. Come si può rispettare una guida che, mettendosi a piangere, dimostra di aver perso completamente l’orientamento? Piangi pure, se ti serve, ma a casa.
“Cercare di capirli e di farmi spiegare le loro ragioni non serve.”: certo che non serve! Le ragioni di che cosa? Della loro scorrettezza, della loro maleducazione, presunzione, mancanza di sensibilità, immaturità? Vorresti che ti spiegassero perché ti sbeffeggiano? Chiedere spiegazioni li autorizza – o li invita addirittura- a continuare. E a ridere di te e a considerarti patetica quando ti arrabbi.
“Convocare il consiglio di classe? … Chiedere aiuto al preside?”: mai chiedere aiuto a colleghi e, soprattutto, al dirigente. Ha ragione la tua preside: “non venga a piangere da me, un insegnante deve saper tenere la classe”. Non lo fare più: la voce si sparge, e arriva anche ai ragazzi.
“..chissà perché le stesse parole, gli stessi atteggiamenti, con me hanno il significato opposto”: accade perché ormai hai perso la faccia. Imparare ad essere autorevoli è un processo lungo, ma ci si può riuscire.
“Cerco di chiacchierare con loro in modo amichevole? Sì… Questo mi etichetta come “debole”?”: no, Eva, ti etichetta come “questa tenta di essere nostra amica, ma non ha la nostra età: che insegnante è?”.
“..visto che era un momento di rilassatezza e stavano tranquilli non ho detto nulla…”: come? I ragazzi si radunano in classe a guardare video comici o annunci matrimoniali e tu, contenta che, distratti dal telefonino, non avevano tempo di prenderti in giro, ti sei guardata bene dal dire qualcosa? Hai insegnato loro che possono fare quello che vogliono. Mi risulta che il cellulare non si possa usare, che in classe si dovrebbe fare lezione. Come me è così. Con te, invece, si può. Ti offrono il numero di un amante adatto a te – gravissima mancanza di rispetto – e tu cerchi di minimizzare e stai al gioco? Ecco un altro comportamento che trasmette l’idea “con quella si fa quello che si vuole”.
“Ragazzi, se dovete fare queste cose almeno abbassate la voce…”: come sarebbe a dire “se dovete fare queste cose”? Eva, tu sei l’insegnante, che deve dire loro come devono comportarsi e se devono o non devono fare una certa cosa.
“E ogni giorno vado a scuola col terrore”, “Se solo sapessi cosa, ai loro occhi, mi marca come zimbello.”: cara Eva, ho cercato di spiegartelo. Tu temi di essere uno zimbello, vai a scuola con il terrore di trovarti in difficoltà, e loro se ne accorgono e ti trattano come uno zimbello. È una forma di bullismo: sono i deboli che vengono presi di mira dai bulli.
Non hai abbastanza autostima e questo viene percepito anche dai ragazzi. Lavora su te stessa per diventare più forte e sentirti degna di rispetto: solo allora – vedrai – ti rispetteranno. Forza, Eva!
Fammi sapere.