Ogni inizio è un’occasione per cambiare/1 Come smettere di fumare

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È noto il fatto che, anche se ogni giorno è uguale all’altro e il calendario è una convenzione, ci sembra più facile cominciare le cose a ogni inizio (di lunedì, il 1 di ogni mese, il 1 gennaio, e tutti gli altri giorni che sono l’inizio di qualcosa: primo giorno di lavoro, primo giorno di scuola, primo giorno da laureato, primo giorno da pensionato, ecc.).

Devo dire che in ogni caso usare un inizio come scusa per cambiare è utile.

Facciamolo.

Per esempio: se fumate, decidete di smettere.

Posso dire che si può, e lo affermo perché ho fumato un bel po’, prima di riuscire a smettere.

 “Il fumo è dannoso”: è un’affermazione sulla quale non si discute neanche.

“Mio padre non fumava ed è morto per un cancro ai polmoni”, dicono. Certo, lo so. Non è sfortuna: è il caso, o un insieme di fattori di cui non serve parlare. Diamolo per scontato: si può morire di cancro o di infarto o di ictus anche senza avere mai fumato una sigaretta. Ho letto anche che i non fumatori con cancro vivono il doppio dei fumatori con cancro. Ma lasciamo stare.

“Ci sono persone che hanno fumato due o tre pacchetti al giorno e sono morte a novant’anni.”, dicono.  Beate loro! Ma quante sono? Evidentemente erano nate con un qualche speciale “impianto di depurazione interno”. Se siete sicuri di averlo anche voi, fumate pure. Altrimenti, decidete si smettere. Da oggi, o dal prossimo lunedì.

Perché? Ci sono molte ragioni per non fumare. Ma le più importanti sono due, e mi sento di ricordarle a chi non si convince a smettere di fumare. La prima: fumare mette a rischio la vostra vita. Vi sono molte persone che vi amano e la vostra vita non è soltanto vostra: è un po’ anche loro. La seconda ragione: adesso state bene, magari siete giovani e vi sentite immortali.  Spero che rimaniate in salute fino a cento anni. Ma se invece non è così? Se siete una delle tante persone destinate ad avere conseguenze gravi dal vizio del fumo? E se questo non avviene quando avete 90 anni, ma nel momento magari più bello della vostra vita? Pensateci, prima di scegliere di continuare a fumare, e poi prendete la decisione che vi sembra migliore. Siete liberi.

Voglio raccontare perché e come ho smesso io, perché credo che possa dare una spinta a decidere e spero anche qualche suggerimento. Ho raccontato la mia esperienza di ex fumatrice ai miei alunni e anche agli alunni dei miei colleghi, quando abbiamo organizzato delle attività contro il tabagismo. Perché è solo chi ha provato che può capire e convincere.

Ho cominciato a fumare le prime sigarette – di nascosto, naturalmente – quando avevo circa dodici anni. Ho iniziato nel modo in cui abbiamo cominciato tutti: mi sembrava di essere grande e davvero molto più interessante delle “bambinette” che non fumavano. Ho continuato alle superiori, e lì (eravamo negli anni Settanta) era quasi un obbligo, se volevi essere di moda. 

Faccio parte di una generazione alla quale non è stato mai spiegato da nessuno “perché” non si doveva fumare. Anzi, diciamo pure che il divieto di fumare era riservato solo alle ragazze perché erano donne e “non stava bene”: “Che brutto vedere una ragazza che fuma!”, si diceva. Ma per una signora che ogni tanto fumava una sigaretta era considerato quasi un gesto elegante. Ai ragazzi,se fumavano, non veniva detto nulla, se non il fatto che le sigarette costavano care.

Comunque ho continuato a fumare negli anni del liceo sempre di più, fino all’anno della maturità, in cui io e una mia compagna di classe studiavamo così tanto, anche di notte, che l’unico modo per stare sveglie era l’accoppiata caffè -sigarette.
Fino a quel momento ero convinta di poter smettere quando volevo.
“Smetto quando voglio” è la frase classica di chi fuma, e viene ripetuta finché non si prova a smettere e ci si accorge che non ci si riesce assolutamente. 

Smettere di fumare è difficilissimo. Non è vero che molti ce la fanno. Per uno che ce la fa moltissimi altri non ci riescono. O ci riescono per qualche tempo e poi ci ricadono. Per la mia esperienza diretta posso dire che ho provato a smettere di fumare molte volte. Ma ogni volta provavo pensando che se prima avessi calato il numero,  poi sarebbe stato più facile smettere.

Chi non ha provato la dipendenza da fumo non può capire che cosa significa provare un desiderio folle di fumare e cercare di resistere. Decidi per esempio che invece di fumare ogni 20 minuti vuoi provare a fumare ogni 60 minuti. Al ventesimo minuto ti viene voglia di accendere la sigaretta. Resisti. Al venticinquesimo minuto la voglia aumenta. Cerchi di distrarti. Il tempo non passa mai. Guardi l’ora dopo un’eternità e sono passati solo trentasei minuti. Aspetti. Il desidero di fumare aumenta. Cominci a dire “Fumo?”, “Non fumo?, “Dai, fumo! Chissenefrega”, “No, devo resistere”, “Resisti! Dai! Ormai ce la fai. Fra poco fumi! Sarà passata senz’altro un’ora”. Guardi l’orologio. Sono passati solo 14 minuti dall’ultima volta che hai controllato l’ora. Mancano ancora dieci minuti. Ti agiti. Alla fine, dopo un altro secolo arriva il momento: accendi la sigaretta e tiri la prima boccata di fumo avidamente, come se fosse l’ultima sigaretta. E mentre fumi pensi a quanto sarà dura la prossima ora. E così via.
Ho provato parecchie volte a calare il numero. Ma ogni volta, anche se arrivavo a fumare otto sigarette al giorno, al primo problema importante ritornavo in brevissimo tempo al pacchetto intero. Questo sistema non ha funzionato con me e neanche con moltissime persone che conosco. Sicuramente sono stati fatti molti studi al riguardo – magari uno in contrasto con l’altro –  ma a me interessa qui offrirvi la mia esperienza, che spero che possa in qualche modo servire a voi e ai ragazzi che state educando.  Per me è stato decisamente più facile smettere di colpo che diminuire il numero di sigarette fumate.

Quando si decide di iniziare a fumare (come a bere, a giocare o a far uso di sostanze stupefacenti) bisogna sapere che non è assolutamente vero che si smette quando si vuole. E questo bisogna dirlo con molta chiarezza ai ragazzi. Il fumo, l’alcool, il gioco e le droghe possono dare dipendenza. Anche questo è un dato di fatto che non merita di essere spiegato. Lo dicono i medici e gli scienziati. Tutti sanno quanta gente muore di cancro per ragioni legate al fumo. Che cos’altro bisogna spiegare?

“Chi non ci crede è libero di provare”.  Ed è proprio questo che ho sempre detto i miei alunni. Non è con le maniere forti che si può impedire ai ragazzi (nel privato, sia chiaro) di fare uso di sostanze che possono creare dipendenza. Possiamo soltanto spiegare che fa male (anche senza scendere nei particolari) e renderli consapevoli del fatto che sono loro che devono scegliere che cosa fare della loro vita, perché saranno loro in prima persona che pagheranno le eventuali conseguenze negative.

Ma che cos’è la dipendenza?  “Essere dipendente” da qualcosa significa che non posso fare a meno di quella cosa. Se non ce l’ho mi sento obbligato a procurarmela subito e a tutti i costi. Quando sono dipendente non sono padrone di me stesso perché non sono più libero di scegliere. Sono schiavo, perché, proprio come uno schiavo, le mie azioni sono comandate da quella cosa. Lo spiego con la mia esperienza.

Ho continuato a fumare per ventun anni, fino ad arrivare a un pacchetto al giorno. Finché non è accaduto un fatto che mi ha sconvolto.

Il gennaio del 1987 fu molto freddo e ci furono eccezionali nevicate. Io abitavo sola e, dato che era nevicato per giorni e la neve era alta, il giorno 29 gennaio mi trovai a scoprire che il frigo era vuoto. L’unica cosa che mi era rimasta era un pacco di Buondì. Per un attimo pensai di uscire, ma poi mi dissi “Ma scherziamo? Uscire con questa neve? Mangerò dei Buondì”. Dopo un po’ mi accorsi che mi mancavano le sigarette e allora pensai “Eh, no! Ho finito le sigarette, devo assolutamente uscire!”. Ecco, quello fu il momento esatto in cui decisi di smettere. Improvvisamente mi risultò chiara la situazione: “Ma allora sono schiava! Per mangiare non esco e per le sigarette sì??”. Ho provato pena e rabbia perché mi sono sentita senza dignità.  L’idea che ci fosse qualcosa che aveva il potere di decidere al posto mio quello che dovevo fare, di obbligarmi a farlo, e che – in altre parole- mi comandasse come se fossi una schiava mi fece stare male. Uscii. E caddi più di una volta nella neve alta, attraversando i giardini pubblici. Sentii ancora di più l’assurdità della cosa e decisi che dovevo assolutamente smettere.

Il 31 gennaio del 1987 fumai come una turca fino alla mezzanotte esatta, perché avevo deciso che a quell’ora avrei spento l’ultima sigaretta. Il 1 febbraio non fumai e fu una grande sofferenza.

Il 2 febbraio era un lunedì e andai a scuola. Entrai in classe e dissi ai miei alunni: “Ragazzi, ieri ho smesso di fumare. Non fumerò mai più!”. Lo dissi in modo solenne. Non lo feci perché avevo uno scopo, ma perché con i miei alunni ho sempre seguito il principio che confidando loro qualcosa di importante della mia vita personale, avrei ottenuto che loro avessero il coraggio di confidarmi qualcosa di importante della loro. Quella frase, invece, fu la mia fortuna. Di loro iniziativa, ogni giorno, quando entravo, mi chiedevano “Professoressa, ha fumato?”. Io rispondevo “No!” e loro mi facevano un applauso. Ecco: non avete idea di quanto mi abbiano aiutato. Senza saperlo mi hanno fatto da coach. Quando, a casa, avevo la tentazione di fumare, mi venivano in mente le loro facce, la loro domanda e il loro applauso, e pensavo alla delusione che avrebbero avuto se avessi risposto “Sì!”. Non è nel mio carattere prendere in considerazione l’idea di mentire, e perciò continuai a resistere.

I momenti di maggiore crisi furono quelli delle sigarette rituali, cioè quelle che fumavo automaticamente: appena sveglia, dopo il caffè, dopo colazione, appena uscivo da scuola, dopo pranzo, dopo cena, prima di dormire, quando aspettavo l’autobus, quando aspettavo qualunque cosa ci fosse da aspettare. Smisi di prendere caffè; evitai di rimanere seduta a tavola, mi impegnai per evitare tutte le situazioni di attesa.

Capii fin dai primi giorni che c’è una forma di perversione che spinge molti a offrirti una sigaretta appena dichiari “Sto cercando di smettere di fumare”. E ad insistere, sostenendo “Dai, prendila! Che male può farti una sigaretta?!”.

A chi mi offriva una sigaretta rispondevo: “Grazie, non fumo”. E se si trattava di persone che mi conoscevano rispondevo: “Grazie, ormai ho smesso”.

In quegli anni era molto più difficile perché si poteva ancora fumare nei bar e nei ristoranti e il posacenere era presente su ogni tavolo.  Allora, appena entravo in un ristorante, lo porgevo al cameriere e dicevo “Per favore, può toglierlo? Non fumiamo”.

Credo che per smettere di fumare ci devono essere cinque condizioni importanti:

  1. La più importante è questa: bisogna volerlo davvero. Finché c’è una vocina che ti dice “Ma perché devo smettere? A me piace. Non ne fumo poi tante. Dicono che fa male ma mio nonno fumava come una ciminiera ed è campato novant’anni” credo che ogni tentativo risulti fallimentare.
  2. Non si può smettere perché qualcuno(compagn*, marito, moglie, genitori) ci obbliga a farlo con le minacce, con le prediche o con la disapprovazione. Rimproverare un fumatore significa fargli aumentare la voglia di fumare. Ricordo benissimo quando mi accendevo una sigaretta e il non fumatore di turno me la rovinava partendo subito con il “Ma perché fumi? Fumare fa malissimo” e a me veniva voglia di accendermene altre due e fumarne tre contemporaneamente.
  3. Bisogna avere un coach. Una persona sola (non tante, non dei gruppi whatsapp) che ci aiuti a mantenere la promessa che facciamo a noi stessi, senza giudicarci e soprattutto senza rimproverarci. Qualcuno che ci vuole bene, che abbia fiducia in noi e che diventi la nostra coscienza esterna. Parlarne tanto non solo non serve, ma è dannoso perché ci fa vivere la lotta come un incubo. Anzi, direi che chi sta smettendo di fumare debba evitare di concentrarsi sull’idea che non può fumare. Meno ne parla e meglio è.
  4. Se si decide di smettere non si deve puntare a resistere, ma a convincere noi stessi di essere dei non fumatori. La nostra mente gioca un ruolo importante quando vogliamo fare dei cambiamenti di vita: se parliamo di noi come di “non fumatori” piano piano la nostra mente si convince che sia vero. Solo quando riusciamo a sentirci “non fumatori” possiamo dirci quasifuori. Dico “quasi” perché chiunque abbia avuto una dipendenza (di qualunque tipo) mantiene sempre il rischio di ricascarci. E non lo dico io, naturalmente, ma gli esperti delle dipendenze.
  5. Ognuno deve trovare delle strategieche lo aiutino: c’è chi – come me- tiene con sé un pacchetto pieno chiuso in borsa, per essere sicuro che in caso di disperazione le sigarette sono lì (io l’ho tenuto per sei mesi); c’è chi non vuole nessun pacchetto a portata di mano; c’è chi –come me – evita anche solo di toccare una sigaretta, per esempio per porgerla a un’altra persona; c’è chi – come me – tiene in bocca delle caramelline saporite; c’è chi mastica chewing-gum; c’è chi tiene sempre le mani occupate, ecc. Sconsiglio le sigarette elettroniche perché contrastano con il punto 4: finché mantenete il gesto avete meno probabilità di dimenticare il gesto (oltre il fatto che ci sono vari studi che hanno spiegato che il vapore nei polmoni può fare danni e che nell’insieme non sono poi così innocue).

E anche dal punto di vista fisico, smettere non significa essere in salvo: ricordo che quattro anni dopo aver messo di fumare mi sono sottoposta a degli esami per ragioni di allergia e quando il dottore mi ha chiesto se fumavo per inserire il dato fra gli indicatori, ho risposto che non fumavo da quattro anni e lui ha inserito “Fumatrice”. Io ho pensato che non avesse capito, e ho precisato che avevo detto di aver smesso, ma lui mi ha spiegato che sei “fumatore” finché non hai smesso da almeno cinque anni.

 È stato facile? No. è stato molto difficile.  Ma ci sono riuscita. Ma ancora oggi, dopo trentuno anni senza fumare, ogni tanto continuo a sognare che senza accorgermene mi accendo una sigaretta e fumo. E nel sogno mi dispero perché non voglio più fumare. E in effetti, smettere di fumare è una liberazione straordinaria. Non parlo del risparmio enorme (basta fare un rapido calcolo per rendersi conto di quanto denaro va in fumo), ma parlo del fatto che chi smette non puzza più di fumo, non è più schiavo della sigaretta, non si agita quando si trova in un luogo in cui non si può più fumare, e soprattutto comincia a sentire profumi e sapori che aveva dimenticato.

Credo di essere riuscita a smettere perché il mio tentativo si è basato sui cinque punti che ho individuato come basilare: ho deciso io di smettere, ho avuto i miei alunni come coach, ho fatto di tutto per sentirmi una non fumatrice e non una ex fumatrice; ho messo in atto molte piccole strategie. 

Questo lunghissimo articolo è un piccolo regalo che vi faccio:  è solo la mia esperienza, ma la condivido con voi perché spero che possa aiutare qualcuno a decidere di smettere, e qualcun altro ad aiutare chi vuole smettere. 

Lascio aperta la possibilità di commentare perché chi lo desidera possa aggiungere la sua testimonianza su come ha smesso (o non è riuscito a smettere) di fumare.

Fatemi sapere!

 

 

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Comments (5)

  • Certo, Vera! Ci riuscirai perché hai trovato tanti motivi per i quali smettere.
    Trovo che gli insegnanti che fumano a scuola o -peggio- che offrono sigarette ai ragazzi dovrebbero andare a casa, perché non sono educatori.

  • Ciao,
    Voglio raccontare anche io la mia esperienza.
    Ho smesso di fumare da circa un anno, dopo quindici anni di onorata carriera da fumatrice (ho iniziato prestissimo, a 14 anni; anche nel mio liceo andava di moda e se non fumavi quasi eri uno sfigato). Anche io ho provato un’infinità di volte a smettere, ma inutilmente.
    Poi, l’anno scorso, è successo un fatto: mi sono presa uno spauracchio tremendo per la mia salute. Per fortuna è andato tutto bene, non era niente di che, ma l’episodio mi ha fatto riflettere. Mi son detta: “non posso fare una cosa – fumare – che è statisticamente legata a un sacco di patologie gravissime. Le malattie arrivano a tutti, è vero, ma la prevenzione ne riduce il numero e la gravità (è statistica, scienza, non chiacchiere da bar del tipo “mio nonno è morto a 90 anni e fumava”). Non posso vivere con l’angoscia che “me la sto andando a cercare””.
    All’inizio non riuscivo a smettere e la sera ero piena di sensi di colpa. Poi se ne sono aggiunti altri. Insegnavo in una scuola come se ne vedono tante in giro, dove regnavano il permissivismo e il buonismo: gli insegnanti offrivano talvolta le sigarette agli alunni, il vicepreside fumava per il corridoio e il preside nella sua stanza, alcuni prof nell’aula docenti). Ma la cosa più brutta era che i ragazzi uscivano e rientravano dalla classe a loro piacimento per fumare e non gli si poteva dire niente se no scoppiava il casino e si giustificavano con la storia “e allora perché i prof fumano a scuola? “. Mi imposi, per coerenza e per non dare loro alibi (almeno io) di non fumare mai e poi mai a scuola.
    Infine pensai che per me, che sono tenacemente ambientalista, fumare fosse davvero un delitto.
    E alla fine sono riuscita a smettere. Non ho applicato un metodo particolare, tipo ridurre il numero di sigarette o usare le gomme e i cerotti o evitare i luoghi legati al fumo. Ho semplicemente (si fa per dire…) lavorato su me stessa.
    Speriamo che duri.

  • È molto simile alla mia esperienza con il fumo, cambiano solo la motivazione (il modo orrendo in cui mia nonna, che aveva fumato quasi tutta la sua vita, era morta davanti a me di tumore) e il fatto che non ho avuto coach. Nessuno è mai stato in grado di capire con me che doveva evitare proprio quei comportamenti che hai elencato tu e che non aiutano una persona a smettere, semmai il contrario. Ci provo da anni a dare una mano a mio marito che prova, prova ma ci ricasca sempre dopo poco tempo, proverò a fargli leggere questo articolo. Sai mai! 😉

  • Sentii ancora di più l’assurdità della cosa e decisi che dovevo assolutamente smettere…

    Cara Isabella hai spiegato talmente bene quel che si prova quando ci si vuol liberare da una dipendenza che, leggendoti, mi sembrava di leggermi.
    Stesse esperienze e stesso successo. L’unica differenza consiste nel non essermi io procurata un coach ( anzi ho avuto in casa un contro coach che ha continuato bellamente a fumarmi addosso ) e di aver fatto tutto da sola.
    Credo che la sensazione che si prova rispondendo a chi ti chiede se hai un accendino: – No, non fumo, sia impagabile.

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